DRAMA unei romance din Olanda

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DRAMA unei romance din OlandaAtac

DRAMA unei romance din Olanda Stimata redactie, In primul rand as dori sa ma prezint. Ma numesc Claudia Alecu, sunt in varsta de 30 ani si sunt mama a 2 copilasi, de 5 si respectiv 7 ani. Locuiesc in Olanda de respectiv 10 ani si am fost casatorita cu un cetatean olandez timp de 9 ani. In luna iunie ...
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  1. GLI AMICI ITALIANI SEGUONO CON ANSIA IL CASO ALECU, UNA VERGOGNA PER LA COMUNITA’ EUROPEA, UN INSULTO AGLI OLANDESI DI SANI PRINCIPI ED UNA GRAVE OFFESA AL FIERO POPOLO RUMENO

    „INDEGNA DI ESSERE MADRE PERCHE’ RUMENA”

    CASO ALECU

    In base alla Convenzione O.N.U. sui Diritti dell’Infanzia (C.D.I.), la Convenzione O.N.U. sui Diritti delle Persone con Disabilità (C.D.P.D.) e la Convenzione U.N.E.S.C.O. sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali possiamo affermare quanto segue:

    I diritti non possono essere attuati se vengono isolati l’uno dall’altro. Per citare il Comitato che controlla l’applicazione della Convenzione: “tutti i diritti sono indivisibili e interrelazionati, essendo tutti connaturati alla dignità umana del bambino. L’attuazione di ogni diritto stabilito nella Convenzione dovrebbe perciò prendere in considerazione l’implementazione e il rispetto di tutti gli altri diritti del bambino”. (UNICEF, 1999, p. 7)

    Quanto stabilito dalla C.D.I. si applica egualmente ai bambini disabili. Il bambino disabile è prima di tutto un bambino, i diritti dei bambini sono uguali per tutti i bambini anche quelli disabili. Tutto ciò è condiviso e rafforzato dalla C.D.P.D..

    “Convinti che la famiglia, unità fondamentale della società e ambiente naturale per la crescita e il benessere di tutti i suoi membri e in particolare dei fanciulli, deve ricevere la protezione e l’assistenza di cui necessita per poter svolgere integralmente il suo ruolo nella collettività”. (C.D.P.D.)

    Le Istituzioni hanno il dovere e la responsabilità di dare supporto alle famiglie (art. 18 C.D.I.), ovvero aiutarle, sostenerle e non privarle arbitrariamente dell’affetto dei bambini prima che vengano fatte le necessarie verifiche.

    E’ un abuso allontanare in base ad una informativa fatta sul fratellino disabile anche la sorellina normodotata, si viola l’art. 9 (C.D.I.) e 23 (C.D.P.D.) in quanto i bambini hanno il diritto di non venire separati dai loro genitori contro la loro volontà e si viola l’art. 5 (C.D.I.) perché viene meno il rispetto del ruolo e delle responsabilità dei genitori, si viola l’art. 12 (C.D.I.) e 7 (C.D.P.D.) in quanto non è stata presa in considerazione la loro volontà.

    Tutti i bambini, inclusi i disabili, possono e devono esprimere le loro opinioni su questioni che li riguardano. Una delle chiavi per assicurare il rispetto per “il superiore interesse del bambino” è quella di ascoltare i punti di vista degli stessi bambini.

    Senza mai dimenticare che: “il linguaggio comprende le lingue parlate ed il linguaggio dei segni, come pure altre forme di espressione non verbale” (art. 2 C.D.P.D.). Pertanto se un bambino disabile strappato all’affetto della famiglia, protesta su un tavolo, urina in camera, spalma le feci sui muri, rifiuta l’igiene personale ed il cibo, non si tratta di un atteggiamento ostile da reprimere nel superiore interesse del bambino, arrivando perfino ad immobilizzarlo, ma bensì manifesta la sua opinione e va ascoltata. Non farlo significa discriminarlo.

    Allontanando dalla famiglia entrambi i bambini e dividendoli, collocando il disabile in altra istituzione per motivi legati alla disabilità si viola l’art. 2 (C.D.I.), 2 (C.D.P.D.) e l’art. 5 (C.D.P.D.) in quanto vengono trattati in modo diverso, viene meno l’eguaglianza e la non discriminazione.

    “Separazioni brusche e radicali possono generare stati di angoscia che evolvo-no in situazioni depressive: il bambino esprime inizialmente la sua protesta con il pianto, in seguito con alterazioni del ritmo sonno-veglia e regressioni, arrivan-do talvolta a stati di ritiro dalla relazione” ( Susanna Chiesa, psichiatra e psicoanalista del Centro Italiano di Psicologia Analitica).

    Considerando attendibile e sufficiente all’allontanamento, una informativa priva di prove oggettive e senza alcun contraddittorio, dove si afferma testualmente che “La famiglia è rumena. E’ molto chiaro e penso, temperamento rumeno e maniera di essere insieme” si compie una discriminazione razziale. Aggravata sottraendo i bambini in assenza della madre poco prima di una vacanza della famiglia in Romania, senza alcun ausilio linguistico, alla presenza dei soli nonni materni incapaci di comunicare in olandese. Imponendo poi alla famiglia ed ai piccoli la cultura e la lingua olandese e riservando trattamenti differenti alla madre di origini rumene rispetto al padre olandese.

    Non rispettando la continuità nell’educazione dei bambini, nonché l’origine etnica, religiosa, culturale e linguistica si violano gli art. 14 (C.D.I.) e 20 (C.D.I.), non preservando la loro identità, le loro relazioni familiari si viola l’art. 8 (C.D.I.).

    Ne consegue che non permettendo di sviluppare nei bambini il rispetto dei genitori, della loro identità, della loro lingua e dei loro valori culturali, nonché il rispetto dei valori nazionali del paese in cui vivono, del paese di cui possono essere originari e delle civiltà diverse dalla loro si viola l’art. 29 (C.D.I.).

    Impedendo al bambino di recarsi in Romania limitando la sua libertà di movimento si viola l’art. 18 (C.D.P.D.).

    Contravvenendo peraltro alla Convenzione U.N.E.S.C.O. sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali che implica il riconoscimento della pari dignità e del rispetto di tutte le culture ivi compresa quella rumena.

    “Tenendo debitamente conto dell’importanza delle tradizioni e dei valori culturali di ciascun popolo per la protezione e lo sviluppo armonioso del fanciullo”.

    I provvedimenti presi, inclusa la separazione dalla famiglia prevista dall’art. 9 (C.D.I.) vengono giustificati ritenendoli nell’interesse preminente dei fanciulli secondo l’art. 3 (C.D.I.).

    Purtroppo è stato rigidamente applicato ignorando che, per poter valutare cosa è nel superiore interesse del bambino, è necessario considerare l’impatto sull’esercizio degli altri diritti.

    Alla base dell’affermazione di questo diritto c’è l’ascolto dell’opinione dei bambini (art. 12 C.D.I. e 7 C.D.P.D.) che non è stata presa in considerazione. Il diritto alla vita familiare è stato così violato, separandoli dalla famiglia e inserendoli in istituzioni residenziali controllati da zelanti esperti che hanno sottoposto il piccolo a rigidi e dolorosi trattamenti degradanti mai resisi necessari in vita sua prima dell’allontanamento violando l’art. 15 (C.D.P.D.).

    Un ragionevole punto di partenza sarebbe quello di affermare che “ciò che è nel superiore interesse del bambino è la somma totale delle norme della Convenzione”. (SC/Sweden & UNICEF, 2000 #570).

    “In qualsiasi valutazione di ciò che è meglio per il bambino, è essenziale che al bambino stesso venga permesso di esprimere un’opinione e che quella opinione venga seriamente presa in considerazione.” (SC/Sweden & UNICEF S Asia, 2000 #5702).

    “Il diritto a partecipare potrebbe venire negato se i bambini venissero esclusi da attività a cui partecipano gli altri bambini. Il diritto a sviluppare le proprie potenzialità potrebbe venire negato in una scuola speciale che non offra la gamma completa di opportunità didattiche. Sicuramente il diritto alla più ampia integrazione sociale possibile richiesta dall’art. 23 (C.D.I.). potrebbe ridursi se il bambino frequenta una scuola speciale. In altre parole l’art. 3 (C.D.I.). indica che non è sufficiente affermare semplicemente che la discriminazione è accettabile perché nel superiore interesse del bambino; al contrario è necessario dimostrare come promuova il loro superiore interesse attraverso l’accrescimento e la protezione dei loro diritti”. (International SC Alliance, 2000 #571).

    Non si può considerare buona prassi mandare i bambini in una scuola speciale rispettando rigidamente il diritto all’educazione se questo viola il diritto alla non discriminazione (art. 2 C.D.I.) in particolare se la scuola è lontana da casa, il diritto a non venire separati dalla famiglia viene violato (art. 9 C.D.I.), come il diritto di giocare con gli amici (art. 31 C.D.I.), incluso il fratello o la sorellina a seconda dei casi. Lo stesso diritto alla libertà di associazione potrebbe in questo modo essere limitato (art. 15 C.D.I.).

    Quando è la sola menomazione a determinare il tipo di scuola che il bambino frequenta, il punto di vista del genitore e del bambino così come le sue capacità e i suoi bisogni reali vengono ignorati in diretta violazione del diritto a un’istruzione che tenga conto delle potenzialità del bambino (art. 29 C.D.I.), e del rispetto delle responsabilità e dei diritti dei genitori (art. 5 C.D.I.), senza considerare i principi di non discriminazione (art. 2 C.D.I.) e del superiore interesse del bambino (art. 3 C.D.I.).

    I bambini contrariamente a quanto si possa pensare non sono più al sicuro negli istituti piuttosto che nelle famiglie, in particolare quelli disabili sono particolarmente esposti ad abusi proprio negli istituti progettati con l’intento di proteggerli. Negli istituti dipendono da un numero maggiore di adulti, che li accudiscono anche nelle forme di assistenza molto intima. Applicando spesso rigidamente regole generali senza valutare le soggettive esigenze di ognuno. Basti pensare che attualmente il bambino è tenuto in un istituto per individui con disabilità differenti rispetto alle sue e di soli adulti.

    Non ci è dato capire come si giustifichi la sottrazione dei bambini per dei motivi, seppure infondati, contemplati dall’informativa e si tengano successivamente per altri motivi non contemplati, imputati alla madre ma che si verificano dal momento dell’allontanamento.

    Come risulta difficile giustificare la custodia preventiva in attesa di valutare le competenze pedagogiche della madre, il tutto con tempi biblici, senza prima informarsi sul fatto che la stessa ha seguito con esito positivo corsi pedagogici e percorso vie d’avanguardia nella terapia dei disabili come quella con i delfini.

    Alla luce dei fatti se la madre si fosse uniformata al sistema senza dare fastidio alle istituzioni preposte per avere il meglio per il suo piccolo oggi non sarebbe in questa situazione.

    Molti degli esempi di esperienze di buona prassi riportati dal Task Group (Save the Children Alliance Task Group on Disalbility and Discrimination) documentano approcci di lavoro in cooperazione con le famiglie e fra gli aspetti chiave vengono indicati il:
    – “supporto diretto alle famiglie: informazioni, consigli, competenze per aiutare i genitori a prendersi cura del loro bambino”;
    – “approcci di carattere non istituzionale per sostenere i bambini disabili”.

    “Molti degli esempi dei nostri dati, sebbene discriminatori, negligenti o abusivi, sembrano basati piuttosto sull’ignoranza, mancanza di informazioni, conoscenza, abilità, ecc. che su intenzioni deliberatamente negative. Certamente questo non significa che l’impatto sul bambino è minore, ma dà l’idea del tipo di soluzioni necessarie”.

    Il punto di vista dei bambini non è stato preso in considerazione (art. 12 C.D.I.) e osservando globalmente i diritti dei bambini stessi non possiamo dire che si sia agito nel loro superiore interesse (art. 3 C.D.I.).

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